Riportiamo il link di una riflessione molto interessante dello storico Guido Formigoni apparsa sul portale della Diocesi di Milano in occasione delle celebrazioni 2020 del XXV Aprile. La nostra città di Sesto San Giovanni è stata protagonista della lotta di liberazione al nazi-fascismo; il ricordo di quelle giornate e soprattutto di tutti coloro che hanno sacrificato la vita per la libertà, ci sollecita a riconsiderare i valori fondanti della nostra Repubblica, scritti nella Carta Costituzionale e a misurarli con le grandi sfide che abbiamo oggi difronte a noi.

IL RICORDO DELLA LIBERAZIONE, IL FUTURO DELLA CONVIVENZA

Prof Guido Formigoni

Sono passati tre quarti di secolo dalla Liberazione del 1945. Un periodo lungo, che ci ha quasi separato dalla memoria fisica di quei giorni e di quegli eventi, ormai incarnata solo da pochissimi sopravvissuti. Ma una distanza così cospicua annulla anche il senso del ricordo? Celebrare il 25 aprile come festa nazionale serve ancora? Esiste un tangibile peso di quegli eventi lontani sulla nostra convivenza civile? Esiste un loro lungo effetto sulla nostra democrazia?

Sono passati tre quarti di secolo dalla Liberazione del 1945. Un periodo lungo, che ci ha quasi separato dalla memoria fisica di quei giorni e di quegli eventi, ormai incarnata solo da pochissimi sopravvissuti. Ma una distanza così cospicua annulla anche il senso del ricordo? Celebrare il 25 aprile come festa nazionale serve ancora? Esiste un tangibile peso di quegli eventi lontani sulla nostra convivenza civile? Esiste un loro lungo effetto sulla nostra democrazia? Il rischio di indebolire progressivamente il senso della ricorrenza esiste, non neghiamolo. Un ricordo stanco e retorico – troppe volte sperimentato negli ultimi decenni – contribuisce del resto lentamente allo stesso esito.

Atteggiamenti da combattere

Chi sostiene che oggi non abbia più senso ricordare in termini collettivi quegli eventi, consegnandoli definitivamente alla storia, dimentica che esistono ancora gruppi, persone, ambienti, che positivamente si ispirano al fascismo e al nazismo: a quei mali che la Liberazione pensava di aver seppellito per sempre. Inoltre, hanno preso forma nella vita reale e virtuale dei nostri tempi una serie di atteggiamenti e di comportamenti che richiamano di fatto quella mentalità, correndo anche in chi fascista non si dichiari: basti pensare all’intolleranza nei confronti del diverso, all’odio sistematico verso un nemico, al nazionalismo esasperato, alla retorica del capo che risolve tutti i problemi. Va da sé: non basta indicare la presenza di queste minoranze o di questi comportamenti per dire che l’antifascismo deve essere ancora ribadito e attivo. Appare indubbiamente opportuna una resistenza e un’attenzione continua: la democrazia non può soccombere per mancanza di autodifesa. Ma non basta una logica reattiva e negativa, quasi che i valori fondanti della memoria della Liberazione siano costituiti solo da una serie di aspetti critici e contrappositivi.

È invece ancora possibile oggi prendere sul serio la sfida della Liberazione e della democrazia in termini positivi e progettuali? Proporrei tre telegrafici spunti di riflessione, che sarebbe possibile a mio modesto parere approfondire e sviluppare.

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