QUESTIONE “CASA ALBERGO”: UNA SEMPLICE CONDIVISIONE
Scrivo queste poche righe nella assoluta consapevolezza che non servono a niente e a nessuno. Forse solo al sottoscritto. Scrivo queste poche righe perché – da “vicino di casa” - non riesco a contenere l’amarezza di fronte al triste epilogo del percorso della “Casa Albergo don Sandro Mezzanotti”, culminato nello sgombero di mercoledì 31 luglio.
Un cammino iniziato nel 1998 con la cessione dello stabile da parte del Comune in comodato d’uso alla Fondazione san Carlo (diretta espressione di Caritas Ambrosiana) e con un progetto immaginato per chi fosse temporaneamente in difficoltà a garantirsi una situazione abitativa stabile. In principio ne beneficiarono soprattutto studenti fuori sede e lavoratori precari. Poi, con l’avanzare di una sempre maggior complessità sociale, trovarono “rifugio” in Casa Albergo don Mezzanotti intere famiglie, persone fr agili, uomini e donne (italiani e stranieri) che si erano trovati progressivamente o improvvisamente senza un alloggio.
Fu il Cardinale Carlo Maria Martini, allora Arcivescovo di Milano, a benedire la struttura, definendola “una goccia nel mare della questione abitativa, ma un segno di grande speranza” e a intitolare la Casa a Monsignor Sandro Mezzanotti – all’epoca da poco scomparso – suo strettissimo collaboratore dal 1983 al 1995, uomo di grande fede, di grande zelo e di grande intraprendenza.
Martini aveva in questa circostanza particolarmente valorizzato l’intuizione di una “collaborazione tra istituzioni ed enti caritativi; un modello positivo, coraggioso ed efficace da seguire per risolvere questa ed altre emergenze”. Vedere questo percorso – che già aveva subito un brusco ridimensionamento nel 2018, quando Fondazione san Carlo si era trovata impossibilitata a rinnovare la convenzione con il Comune – terminare con le camionette della polizia intente a provvedere allo sgombero mi mette tanta amarezza.
E, ovviamente, al tempo stesso, genera in me grappoli di interrogativi. Era questa l’unica soluzione? C’è qualcosa che potevamo fare e non abbiamo fatto (e la domanda – credetemi - la rivolgo innanzitutto a me stesso e a ciascuno di noi cittadini di Sesto san Giovanni)? Perché il messaggio che implicitamente viene di continuo rivolto al povero è: “in fondo è colpa tua” e “per te non c’è posto”?
Non voglio addentrarmi in questioni complesse, di cui non ho sufficiente competenza. Ma da uomo, da credente e da prete sento che davvero ha ragione Papa Francesco quando dice che “la “cultura dello scarto” è uno dei fenomeni più drammatici del nostro tempo, per il quale la società umana tende a mettere da parte tutto quello che non risponde ai criteri di efficienza, produttività, reattività, di bellezza, giovinezza, forza e vivacità. E mi domando dove sia diretta una civiltà che non trova ormai quasi più spazio per chi è temporaneamente o cronicamente in situazione di fragilità. In questo senso, ritengo che la mattina di mercoledì 31 luglio sia da intendere come una sconfitta per tutti.
Spero che tanti cittadini della nostra amata Sesto san Giovanni fatichino almeno un poco a prendere sonno in queste notti. E non solo per il caldo.
don Carlo Confalonieri parroco Parrocchia San Giovanni Battista Via Fogagnolo
Il 25 aprile la liturgia celebra la festa di san Marco evangelista, personaggio molto importante della Chiesa primitiva e di tutta la storia della Chiesa. A lui dobbiamo il più antico resoconto dei fatti di Gesù: il Vangelo secondo Marco.
Le tre letture ci descrivono qualche momento determinante della sua vita e qualche aspetto della sua persona. Nella prima, l’apostolo Pietro ci fa sapere che Marco è un suo stretto collaboratore e gli è caro come un figlio: “Vi saluta la comunità che è stata eletta come voi a dimora in Babilonia; e anche Marco, figlio mio”. Nella seconda lettura è Paolo che riconosce la preziosità di Marco per il suo ministero, malgrado con lui ci fosse stata in passato una pesante incomprensione. La pagina del Vangelo di Luca, infine, ci descrive la preoccupazione di Gesù di formare non solo discepoli, ma anche missionari, tanto appassionati di lui, quanto desiderosi di farlo conoscere fino ai confini della storia.
Così Dio fa crescere i suoi figli fino alla maturità e, partendo da umili inizi, li rende atti a compiere grandi cose. Così Dio può far maturare i gruppi, le collettività, le società, le nazioni: da semplici inizi, talora avvolti nella leggenda, alla coscienza di un compito storico che riguarda sia il proprio gruppo o nazione, sia l’umanità intera. Un cammino non sempre facile né lineare, che passa attraverso momenti di crescita e momenti di involuzione. Lo stesso cammino dell’evangelista Marco ha conosciuto ore difficili: situazioni in cui ebbe paura delle difficoltà della missione e si tirò indietro; momenti in cui per causa sua si divisero anche i grandi evangelizzatori del suo tempo, Paolo e Barnaba. E ci furono poi i giorni di rinascita, di ripresa di coraggio, di riconciliazione.
Qualcosa di analogo avviene nei gruppi sociali e nazionali e nella storia del nostro paese, l’Italia, che ha camminato per secoli tra prove e difficoltà, tempi facili e tempi difficili. Spesso i tempi difficili sono stati l’occasione per temprare gli uomini e per aprire nuovi orizzonti. Uno di questi è certamente quello che viene chiamato la Resistenza, che ha visto il suo coronamento quasi 80 anni fa, il 25 aprile 1945. I valori di fondo della Resistenza restano intatti ed è giusto che siano celebrati ringraziando il Signore che guida la vita dei singoli e dei popoli. Resta intatto il valore dell’anelito alla libertà, della resistenza all’oppressione, dell’apertura al perdono, specie in questa stagione segnata da guerre e conflitti.
Tali valori che si sono tradotti in principi che sono confluiti nella nostra Carta Costituzionale, conquistati mediante il sangue, il sacrificio e l’eroismo di molti, rimangono i pilastri fondanti della nostra comunità nazionale e sono un punto di non ritorno. A partire da essi si può attuare quel pieno sviluppo della persona e della società e quella promozione e difesa della vita su cui tutti siamo impegnati e coinvolti.
Preghiamo oggi alla presenza della autorità cittadine, civili e militari, che esercitano il loro servizio a favore del benessere di tutti gli abitanti di questa nostra città. E preghiamo affinchè i principi che costituiscono la stella polare della Repubblica italiana siano sempre alti all’orizzonte e affinchè non sia vano il sacrificio eroico di chi ci ha preceduto. Il Beato Teresio Olivelli, martire lombardo della barbarie nazi fascista, ci aiuti a raccontare e a ricordare i fatti del 25 aprile perché mai più degli uomini si trovino a dovere resistere con la forza ad una forza assurda e dispotica.
Domenica di Pasqua nella Risurrezione del Signore, Messa nel giorno
CELEBRAZIONE EUCARISTICA Duomo, 9 aprile 2023
OMELIA Arcivescovo Mario Delpini
Nell’intimità inaccessibile la voce amica
1. Perché piangi? L’intimità desolata.
“Parlami di te. Dimmi della tua verità profonda. Parlami di te, non delle etichette che gli altri ti hanno appiccicato; parlami di te, non dell’immagine di te che coltivi per renderti attraente, per esibire le doti, per attirare l’attenzione, per adeguarti alle aspettative degli altri. Parlami di te, non di quello che hai fatto, delle imprese di cui sei fiero e che vuoi esibire in mezzo agli altri. Parlami di te, non di quello che hai fatto, degli errori che hai commesso, dei fallimenti che ti hanno umiliato, dei comportamenti di cui ti vergogni. Parlami di te, della tua intimità inaccessibile, della stanza segreta in cui è custodita la tua verità irripetibile”. Maria non sa parlare di sé. Piange. La sua stanza segreta, la sua verità profonda è una desolazione. Per dire di sé piange. Nella sua intimità inaccessibile c’è un vuoto, una solitudine, un oscuro abisso desolante. Per dire di sé piange: Hanno portato via il mio Signore.
2. La presenza dello Sconosciuto.
L’intimità desolata è così insopportabile che molti distolgono lo sguardo e l’attenzione. Meglio vivere di esteriorità, di apparenze piuttosto che sostare sull’orlo dell’abisso spaventoso; meglio recitare una parte, investire in un ruolo, adeguarsi alle aspettative altrui, piuttosto che fare i conti con la propria verità nell’intimità angosciante dove forse abitano mostri invincibili, incubi insostenibili; meglio vivere nella frenesia, nel rumore, nelle chiacchiere, piuttosto che restare nel silenzio opprimente di una buia solitudine. Meglio vivere fuori di sé, piuttosto che dover fare in conti con sé stessi. Maria invece sta presso il sepolcro, sosta nella sua desolata solitudine e la domanda dello Sconosciuto le rivela che c’è una presenza che bussa alla porta della camera segreta dove è custodita la sua intimità. 2 Maria percepisce in modo confuso che la sua verità profonda non è una nera solitudine: c’è infatti, proprio là, nella stanza segreta una presenza indecifrabile, una voce inattesa. Chi sei, presenza sconosciuta? Chi sei tu che fai giungere la tua voce là dove nessuna voce è mai giunta?
3. “Ho visto il Signore!”
Lo Sconosciuto del giardino si rivela l’Amato che si credeva perduto per sempre, la voce che sa parlare nell’intimità profonda è proprio la sua voce, è proprio la parola che pronuncia la verità unica della donna in lacrime, è proprio la parola che sa dire l’indicibile e dare nome alla stanza segreta. La parola dello Sconosciuto raggiunge quella che sembrava solitudine inaccessibile e abisso angosciante e si rivela invito alla comunione, capace di accendere nelle tenebre la luce beatifica, lieta, che le tenebre non possono spegnere. Maria non sa dire l’indicibile, l’esperienza esaltante della gioia pasquale, non sa descrivere l’incontro con Gesù, che consegnato agli inferi, ne esce glorioso, che inghiottito nella morte vince la morte.
4. Morì per i nostri peccati … è risorto il terzo giorno
Nell’intimità profonda dove facciamo fatica a sostare per timore dell’abisso angosciante e dei mostri invincibili c’è invece la presenza amica di Gesù. Non è estraneo a quell’abisso di male, a quella minaccia di morte che ci spaventa, ma in quell’abisso ha vinto il male, la morte e lo spavento. Perciò si dice: è morto per i nostri peccati. Nella camera più segreta, dove nessuno può entrare, abita la presenza amica del risorto. La nostra verità profonda non è la solitudine. Nella solitudine dell’intimità ciascuno percepisce d’essere troppo piccolo di fronte al grande mistero. Troppo piccolo e troppo solo di fronte allo splendore e di fronte all’orrore, troppo piccolo e troppo solo di fronte alle domande inquietanti e alle minacce insostenibili. Ma l’incontro di Pasqua rivela che nella nostra verità più intima e profonda non c’è l’abisso del nulla che insidia la vita, ma la comunione amorosa che rende vivi della via del Figlio di Dio.
La drammaticità della situazione in Ucraina e il rischio elevatissimo di un'escalation militare, ha spinto l'Arcivescovo Mario Delpini a chiedere a tutti i fedeli della Diocesi Ambrosiana di vivere un tempo di Quaresima dedicato all'intercessione per la Pace e a concrete pratiche di penitenza e gesti di Pace.
L'APPELLO DI MONS MARIO DELPINI
Noi vogliamo la pace. I popoli vogliono la pace. I poveri vogliono la pace. I cristiani vogliono la pace. I fedeli di ogni religione vogliono la pace. E la pace non c’è.
E coloro che decidono le sorti dei popoli decidono la guerra, causano la guerra. E dopo averla causata non sanno più come fare per porre fine alla guerra. Non possono dichiararsi sconfitti. Non possono vincere annientando gli altri.
In queste vie senza uscita che tormentano tanti Paesi del mondo, umiliano la giustizia e distruggono in molti modi le civiltà, le famiglie, le persone e gli ambienti, che cosa possiamo fare? Dichiariamo la nostra impotenza, ma non possiamo lasciarci convincere alla rassegnazione. Noi crediamo che Dio è Padre di tutti, come Gesù ci ha rivelato. Crediamo che Dio manda il suo Santo Spirito per seminare nei cuori e nelle menti di tutti, compresi i potenti della terra, pensieri e sentimenti di pace e il desiderio struggente della giustizia.
Il 24 febbraio molte manifestazioni sono organizzate per ricordare il primo anniversario di un evento tragico e promuovere iniziative di pace. Invito tutti a unirsi con convinzione agli eventi organizzati, dovunque siano.
Raccogliamo con gratitudine l’appello accorato e insistente di Papa Francesco, ammiriamo la sua tenacia, riflettiamo sul suo insegnamento e insieme con tutti i fratelli e le sorelle che vogliono la pace nella giustizia, noi decidiamo di insistere nella preghiera, nella penitenza, nell’invito alla conversione.
Per questo propongo che nella Diocesi di Milano si viva la Quaresima come tempo di invocazione, di pensiero, di opere di penitenza e di preghiera per la pace. Coltiviamo la convinzione che solo un risveglio delle coscienze, della ragione, dello spirito può sostenere i popoli, i governanti e gli organismi internazionali nel costruire la pace.
Quanto all’invito allaconversione, invito tutti a condividere, a sottoscrivere e a far sottoscrivere – a partire dalla prima domenica di Quaresima e fino alla domenica delle Palme – l’appello che sarà reso disponibile online su questo portalee che potrà anche essere distribuito in forma cartacea. Questo gesto simbolico possa tramutarsi nell’assunzione di un impegno concreto per un percorso penitenziale. Mi propongo, alla fine della Quaresima, di raccogliere le adesioni e di farle pervenire alle autorità italiane ed europee.
Quanto allapenitenzainvito tutti a vivere l’intera Quaresima come tempo di penitenza secondo le forme praticabili. In particolare a questa intenzione orienteremo il digiuno del primo venerdì della Quaresima ambrosiana, il 3 marzo. E invito chi può e lo desidera a condividere con me la preghiera e il digiuno in Duomo, dalle 13 alle 14, come forma simbolica per esprimere un proposito che ispiri il tempo di Quaresima.
Quanto allapreghierapropongo che in ogni occasione opportuna condividiamo la seguente invocazione per la pace.
Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre nostro, noi ti preghiamo per confidarti lo strazio della nostra impotenza: vorremmo la pace e assistiamo a tragedie di guerre interminabili! Vieni in aiuto alla nostra debolezza, manda il tuo Spirito di pace in noi, nei potenti della terra, in tutti.
Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre nostro, noi ti preghiamo per invocare l’ostinazione nella fiducia: donaci il tuo Spirito di fortezza, perché non vogliamo rassegnarci, non possiamo permettere che il fratello uccida il fratello, che le armi distruggano la terra.
Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre nostro, noi ti preghiamo per dichiararci disponibili per ogni percorso e azione e penitenza e parola e sacrificio per la pace. Dona a tutti il tuo Spirito, perché converta i cuori, susciti i santi e convinca uomini e donne a farsi avanti per essere costruttori di pace, figli tuoi.
Infine segnaliamo anche il momento di preghiera quotidiano con l'Arcivescono
KYRIE, SIGNORE! In preghiera per la pace con l’Arcivescovo, ogni giorno di Quaresima
Dal 26 febbraio, prima domenica di Quaresima, torna l’ormai tradizionale appuntamento quotidiano con un breve momento di preghiera proposto da monsignor Mario Delpini.
Dalle 6.40 la meditazione sarà disponibile sul portale diocesanowww.chiesadimilano.ite sui social (e sarà poi ovviamente fruibile in qualunque momento della giornata); alla stessa ora sarà trasmessa su Radio Marconi (con replica alle 20.30), mentre alle 7.55 dei giorni feriali e alle 9.25 della domenica verrà trasmessa su Telenova (canale 18 del digitale terrestre).
31 Dicembre 2023, Festa della Circoncisione del Signore.
Inizia un nuovo anno e Dio solo sa quanto abbiamo bisogno che questo inizio sia sotto un segno di bellezza e di benedizione che dia qualche garanzia in più rispetto agli auguri e agli auspici che in queste ore ci scambieremo reciprocamente. Ebbene, per noi che abbiamo la possibilità di celebrare l’inizio dell’anno all’interno di questo appuntamento che riecheggia il mistero del Natale di Gesù, questa benedizione ci viene offerta attraverso unnome, tema che ritorna in tutte le tre letture.
Nella prima lettura Dio dice a Mosè: “porrete il mio nome sui figli di Israele” e Paolo nella lettera ai Filippesi scrive che Dio donò a Gesù “un nome che è al di sopra di tutti i nomi”, mentre il Vangelo ci racconta che quel bambino dalla mangiatoia fu portato al Tempio “e gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo…”. Ecco, noi iniziamo l’anno in questo nome, il nome di Gesù, come se il nome di Dio si fosse pienamente svelato in Gesù di Nazaret. E si tratta di un nome di benedizione, a dire che non sapremmo che farcene di una Chiesa che usasse il nome di Dio per far balenare maledizioni. Sarebbe una Chiesa eretica se dimenticasse che “Gesù” significa “colui che salva” e dunque Dio non sarà mai “colui che punisce” o “che castiga”, ma “colui che salva”, un nome che aveva dentro un sogno, una vocazione, un destino che veniva dall’alto. Gesù – nel sogno che il Padre aveva su di lui – non avrebbe fatto altro che salvare, che chinarsi su chiunque incontrasse per rialzare, per fasciare la sua debolezza.
Ecco perché quel nome per noi è una benedizione e meglio non possiamo fare che iniziare un anno nel nome di Gesù. E che benedizione saremmo pure noi, se in qualche misura ci specchiassimo in quel nome: “venuti al mondo non per condannare, ma per salvare”. Per salvare anche coloro che solitamente diamo per perduti. Non potrebbe essere il programma di ogni nuovo anno?
E allora lasciatemi concludere con una riflessione sui pastori e su Maria. Dei pastori e di quelli che udivano è detto che “si stupivano” e ci chiediamo per che cosa questo stupore. Non certo per qualcosa di eccezionale: in quella grotta/capanna i pastori non avevano trovato né voli d’angeli, né luci miracolose. Avevano trovato una ragazzina, un neonato fatto su con le stesse fasce che usavano per i loro figli e per culla una mangiatoia, come forse succedeva per i loro piccoli. Dov’era dunque l’eccezionale che li stupiva? Forse proprio nel fatto che il Messia loro annunciato dagli angeli si manifestasse nella normalità. C’era da stupirsi, ma anche da gioire. E di Maria, quella ragazzina, è detto che “da parte sua custodiva tutte queste cose meditandole nel suo cuore”. E allora che bello che una ragazzina avesse già quest’arte segreta di custodire ciò di cui la vita ci fa spettatori, ciò di cui l’anno trascorso ci ha fatto spettatori, ciò di cui il nuovo anno ci farà spettatori. Un’arte che è il contrario della superficialità. In più, si dice che Maria “custodiva … meditandole”, con un verbo che potrebbe essere tradotto con “mettendole insieme”, mettendo insieme cose che non sembrano possano proprio stare insieme: l’angelo le aveva detto che quel figlio “sarà grande … il Signore gli darà il trono di Davide suo padre”, ma la realtà che aveva davanti agli occhi era una mangiatoia per culla, invitati alla nascita gente di dubbia fama, … E così mi convinco sempre più che non è vero che Maria capisse tutto, ma piuttosto che cercava di mettere in dialogo quello che sembrava così inconciliabile.
Ecco che cosa siamo a chiedere all’inizio di un nuovo anno posto sotto il nome di Gesù, del Dio che salva: l’arte di mettere insieme, come Maria, di mettere in dialogo anche ciò che umanamente pare inconciliabile, specie in questo tempo di guerra:
il desiderio di fraternità sconfessato da conflitti ed antipatie,
la coscienza che nessuno si salva da solo con “l’intossicazione individualistica e idolatrica”,
“i nostri interessi personali e nazionali con … la ricerca di un bene che sia davvero comune”