Non vi nascondo che avevo auspicato e pregato perché questo editoriale potesse intitolarsi“Pasqua e pace”. Ma la situazione del conflitto russo-ucraino è davanti agli occhi di tutti e i media continuano ad invadere i nostri pensieri e i nostri cuori con informazioni ed immagini angoscianti e cariche di tristezza.
Malgrado questo, tra pochi giorni sarà Pasqua e saremo provvidenzialmente“costretti”ad uno sguardo capace di trasmettere luce, fiducia, speranza. Saremo costretti a cantarel’alleluiache dice la differenza di cui i cristiani sono portatori nell’attraversare le vicende della vita, persino le guerre e le paure di guerre con tutte le ansie che si moltiplicano ed abitano le nostre notti.
Allora, in vista della prossima Pasqua, vorrei invocare insieme a voi il dono dello Spirito del Risorto perché ci conceda di sperimentare tre ambiti di risurrezione che vorrei formulare quasi nella forma di una preghiera dei fedeli, di una invocazione al Dio della pace.
Per i responsabili di questo conflitto. Sentano il desiderio di riabilitare la propria immagine di fronte alla propria coscienza, al proprio popolo, alla storia tutta. La ricerca di una soluzione diplomatica, il superamento di ogni rigidezza ideologica, la fine delle operazioni belliche dimostrino la loro fede nel Dio capace di fare nuove tutte le cose. Certo, rimarrà a lungo la questione del chi si farà carico dei danni di guerra, delle morti innocenti, del chi risponderà e come di fronte al mondo intero. Ma almeno il primo passo sia fatto, affinchè ne possano venire altri portatori di serenità.
Per le chiese variamente coinvolte in questo conflitto. Anzitutto le chiese ortodosse legate al patriarcato di Kiev e di Mosca, insieme alle chiese cattoliche di rito bizantino legate al Vescovo di Roma. Incoraggino e sostengano un processo di pacificazione animate da uno spirito missionario e dal desiderio di obbedire alla parola di Gesù: “da questo tutti riconosceranno che siete miei discepoli: dall’amore che avrete gli uni per gli altri”. Non nascondiamoci dietro ad un dito: le prese di posizione del Patriarca russo-ortodosso Kirill che di fatto giustificavano l’intervento armato russo a motivo della presunta perdita dell’identità cristiana dell’Ucraina per la pervasiva cultura occidentale, hanno generato gravi spaccature tra le chiese ortodosse e tra quella russa e quella cattolica. Spaccature e lacerazioni inquietanti che non possono non porre la questione del carattere nazionale delle chiese e del modo di interpretare autenticamente il senso di una sinodalità che dovrebbe essere patrimonio acquisito nel mondo ortodosso.
Per le popolazioni coinvolte nel conflitto. Anche queste popolazioni sono chiamate ad una resurrezione che passi attraverso un perdono, una riconciliazione, in assenza della quale non è difficile immaginare che carsicamente l’odio e il risentimento accumulati negli ultimi 100 anni torneranno ad emergere alla prima occasione. Parliamo di una riconciliazione che dovrà fare i conti con la verità e con l’ammissione delle colpe da parte dei responsabili di questo conflitto. Che dovrà passare attraverso l’ascolto pacato delle ragioni di parte russa e naturalmente la possibilità da parte ucraina di far valere il proprio punto di vista. Una riconciliazione che avrà bisogno di mediatori terzi, fantasiosi ed autorevoli.
Per tutti questi motivi, per il bene dei popoli coinvolti e del mondo intero, continuiamo a pregare, chiedendo l’intercessione di Maria, Regina della pace.
La ricorrenza del 25 Aprile di quest’anno arriva ad una settimana dalla festa di Pasqua, nella quale la chiesa fa riecheggiare il mistero della tomba vuota, l’annuncio della sconfitta della morte che è all’origine di ogni egoismo e malvagità. Per i cristiani la vita ha senso come memoria costante di questa liberazione. Per i cristiani l’esistenza è vivere nell’orizzonte della risurrezione: per questo ne facciamo memoria ogni volta che torna il giorno del sepolcro vuoto, la domenica, ed ogni volta che tornano i giorni in cui questi eventi sono accaduti, i giorni in cui Gesù si rese presente vivo in mezzo ai suoi discepoli dopo la sua morte. I giorni in cui i cristiani si riuniscono per la celebrazione della Pasqua annuale.
Gli Atti degli Apostoli raccontano che, alle autorità giudaiche che li avevano arrestati e cui avevano ingiunto di smettere di insegnare nel nome di Gesù, Pietro e gli altri apostoli rispondono: “Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini”, testimonianza di una “resistenza” e di una “disobbedienza” all’autorità costituita che mai potrà soverchiare l’autorità di Dio. Quanti hanno resistito negli anni bui del nazifascismo, credenti o meno nel Dio raccontato da Gesù di Nazaret, hanno attualizzato e tradotto quella solenne affermazione di Pietro che resta un monito anche per noi, oggi.
Ma quest’anno il 25 aprile cade nel pieno di un conflitto scoppiato nel cuore dell’Europa cristiana per il quale fatichiamo a scorgere una luce in fondo al tunnel. Il 25 aprile fu anche la sconfitta di un’Europa frantumata da concezioni stataliste e nazionaliste devastanti che produssero due guerre mondiali e le fecero perdere la centralità che aveva avuto per secoli. Ma – ci chiediamo - l’Europa che finora abbiamo cercato di costruire è capace di prendere coscienza di quella sconfitta o non rischia di perpetuare una concezione che non porterà da nessuna parte? Non si tratta di negare i limiti e le contraddizioni messe in mostra dall’Europa di oggi, ma di chiedersi cosa potremmo essere oggi se non ci fosse stata, e cosa potremmo essere domani se non ci fosse più, e allora pensare insieme come renderla migliore. Ed è per questo che ci sentiamo chiamati ad una preghiera, laica o cristiana, non importa, almeno per tre categorie di persone.
1. Per i responsabili di questo conflitto. Sentano il desiderio di riabilitare la propria immagine di fronte alla propria coscienza, al proprio popolo, alla storia tutta. La ricerca di una soluzione diplomatica, il superamento di ogni rigidezza ideologica, la fine delle operazioni belliche dimostrino la loro fede nel Dio capace di fare nuove tutte le cose. Certo, rimarrà a lungo la questione del chi si farà carico dei danni di guerra, delle morti innocenti, del chi risponderà e come di fronte al mondo intero. Ma almeno il primo passo sia fatto, affinché ne possano venire altri portatori di serenità.
2. Per le chiese variamente coinvolte in questo conflitto. Anzitutto le chiese ortodosse legate al patriarcato di Kiev e di Mosca, insieme alle chiese cattoliche di rito bizantino legate al Vescovo di Roma. Incoraggino e sostengano un processo di pacificazione animate da uno spirito missionario e dal desiderio di obbedire alla parola di Gesù: “da questo tutti riconosceranno che siete miei discepoli: dall’amore che avrete gli uni per gli altri”. Non nascondiamoci dietro ad un dito: le prese di posizione del Patriarca russo-ortodosso Kirill che di fatto giustificavano l’intervento armato russo a motivo della presunta perdita dell’identità cristiana dell’Ucraina per la pervasiva cultura occidentale, hanno generato gravi spaccature tra le chiese ortodosse e tra quella russa e quella cattolica. Spaccature e lacerazioni inquietanti che non possono non porre la questione del carattere nazionale delle chiese e del modo di interpretare autenticamente il senso di una sinodalità che dovrebbe essere patrimonio acquisito nel mondo ortodosso.
3. Per le popolazioni coinvolte nel conflitto. Anche queste popolazioni sono chiamate ad una resurrezione che passi attraverso un perdono, una riconciliazione, in assenza della quale non è difficile immaginare che carsicamente l’odio e il risentimento accumulati negli ultimi 100 anni torneranno ad emergere alla prima occasione. Parliamo di una riconciliazione che dovrà fare i conti con la verità e con l’ammissione delle colpe da parte dei responsabili di questo conflitto. Che dovrà passare attraverso l’ascolto pacato delle ragioni di parte russa e naturalmente la possibilità da parte ucraina di far valere il proprio punto di vista. Una riconciliazione che avrà bisogno di mediatori terzi, fantasiosi ed autorevoli.
Il Beato Teresio Olivelli, martire lombardo della barbarie nazi fascista, ci aiuti a raccontare e a ricordare i fatti del 25 aprile perché mai più degli uomini si trovino a dovere resistere con la forza ad una forza assurda e dispotica.
È da tempo che diverse organizzazioni sindacali stanno denunciando e richiamando l’attenzione rispetto al rischio che, col nuovo anno appena iniziato, un numero preoccupante di nuclei familiari di Sesto san Giovanni possano essere privati della abitazione. Le conseguenze sono facili da immaginare: l'assenza di una residenza finisce per privare di alcuni diritti essenziali e le sistemazioni di emergenza spesso comportano la divisione della famiglia. Una situazione in gran parte motivata da condizioni di fragilità croniche, che con la pandemia di Covid-19 si sono acuite.
Interpellati da alcune sigle sindacali ed in particolare dalla lettera aperta ricevuta dalle famiglie sotto sfratto dello scorso 29 dicembre 2021, con questo scritto intendiamo rivolgerci loro e alla cittadinanza tutta.
Come si può intuire, in questo numero complessivo di famiglie ci sono condizioni molto diverse, tra cui alcune segnate da difficoltà economiche e dalla presenza di componenti portatori di malattie gravi o minori in tenera età. Condizioni che le leggi tutelano in modo particolare investendo l’amministrazione comunale dell’onere di provvedere adeguatamente a queste persone.
Il fenomeno degli sfratti, di per sè critico, è diventato drammatico per una non adeguata attenzione al problema e per precise scelte amministrative fatte nel passato su cui non vogliamo entrare. A prescindere delle scelte passate è però ora il tempo, per tutti, della ricerca di soluzioni rapide in grado di garantire dignità e sicurezza a tutti, specie ai meno tutelati.
Di fronte a questa situazione la comunità cristiana si interroga su quali possano essere possibili iniziative per affrontare il problema, non potendosi esimere dal tradurre il principio della dignità di ogni essere umano nella ricerca di condizioni di vita decenti per tutti. Certo, da cristiani non possiamo restare indifferenti di fronte a questo problema, in particolare alle situazioni più critiche, alcune delle quali note alle Caritas parrocchiali, trattandosi di persone e famiglie in situazione di povertà sotto vari profili.
Da sempre le comunità cristiane hanno presidiato – per quanto possibile – il disagio abitativo attraverso la messa a disposizione di appartamenti e strutture comunitarie, nonché offrendo sostegno economico a diverse famiglie in difficoltà nei pagamenti degli affitti e delle utenze.
È però nostra convinzione che siano gli amministratori del bene comune a doversi far carico in modo prioritario di coloro che non hanno le risorse sufficienti ad uscire dalla condizione di difficoltà in cui si trovano, a prescindere dalla nazionalità e dal paese d’origine. Certo, in collaborazione con tutti i soggetti sociali - ad esempio le realtà sindacali che rappresentano le istanze delle famiglie sfrattate e i servizi caritativi delle nostre parrocchie - e le persone di buona volontà, ciascuno secondo le proprie possibilità e competenze, attraverso percorsi condivisi di lettura dei bisogni e progettazione degli interventi.
Non ci sfugge la complessità dei problemi e la limitatezza delle risorse disponibili, in particolare sul problema casa che si può definire cronico e che ha assunto dimensioni preoccupanti. Per questo ci sentiamo di auspicare la massima collaborazione tra i diversi uffici comunali deputati a occuparsi delle persone fragili e vulnerabili (servizi sociali, l’agenzia Casa del Comune ecc.) e tra il Comune e le altre istituzioni (Regione, Prefettura, Aler e altri enti specifici deputati alla questione abitativa), affinchè si coordinino per accompagnare le famiglie in disagio abitativo, applicando non solo nella forma, ma anche nella sostanza tutte le norme vigenti. Non ignoriamo infatti quanto il Comune sta ponendo in essere, specie a seguito della mobilitazione di partiti ed associazioni e alla convocazione di Sindaco ed Unione Inquilini da parte del Prefetto di Milano ed auspichiamo che le iniziative adottate dall'amministrazione gli ultimi giorni dell'anno segnino un cambio di approccio che possa portare ad ulteriori iniziative a sostegno delle famiglie più fragili. Le soluzioni da trovare sono a più livelli. Quella più a breve termine - che non ci pare fuori luogo definire emergenziale – è volta ad evitare che intere famiglie si trovino private di un bene essenziale come la casa, finendo per costituire una vera e propria “bomba sociale”.
In seconda battuta, sarà necessario sviluppare una capacità di programmazione e pianificazione condivisa, perché il problema casa sia affrontato in termini più strutturali, con una visione che tenga conto dei grandi progetti relativi alle ex aree Falck e al mix-sociale che auspicabilmente possa caratterizzarli.
Certamente, in tutto ciò l’Amministrazione Comunale non può abdicare al ruolo di regolatore delle scelte urbanistiche e del mercato della casa, così come è chiamato ad incentivare la messa a disposizione di alloggi privati vuoti a prezzi accessibili, anche alle famiglie meno abbienti. L’alleanza tra istituzioni, fondazioni e istituti di credito potrebbe aiutare ad individuare forme di garanzia per i proprietari, al fine di assicurare la casa alle famiglie povere, senza privare i locatari dei propri diritti, soprattutto quando si tratta di altre famiglie e non di grandi operatori immobiliari.
Infine, riteniamo di dover fare appello ai cittadini proprietari di alloggi vuoti nel chiedersi se possano in qualche modo metterli a disposizione di altre famiglie che faticano a trovare casa.
Il tempo eccezionale che stiamo vivendo domanda anche generosità e prossimità eccezionali.
Da parte nostra assicuriamo la vicinanza e la solidarietà alle famiglie colpite dal disagio abitativo e auguriamo che il nuovo anno porti ad un cambio di paradigma sulla questione abitativa, come è avvenuto su altri temi importanti della vita collettiva.
Don Roberto Davanzo
Decano di Sesto San Giovanni
Questo documento esce a firma del Decano di Sesto San Giovanni con il supporto della Commissione socio-politica del Decanato, sentito il Consiglio Pastorale Decanale stesso e i sacerdoti e le religiose che operano nella nostra città, le cui osservazioni sono state – per quanto possibile – recepite nella stesura finale.
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Accanto agli sfrattati di Sesto: nessuno deve restare per strada
(dalle Lettere al Direttore, Avvenire Sabato 29 Gennaio 2022)
Gentile direttore, sono grato per l’articolodi Pierfranco Redaelli apparso su “Avvenire” del 14 gennaio 2022 e relativo al “rischio sfratti” che grava su molte famiglie di Sesto San Giovanni. E condivido totalmente la posizione espressa dal prevosto di Sesto, monsignor Davanzo. Sto seguendo la disastrosa vicenda in una realtà che mi è cara, perché ho avuto la grazia di servire gli abitanti di Sesto come prevosto della città per 17 anni. Come è stato scritto, le famiglie colpite sono numerose: in esse ci sono bambini, anziani e anche disabili. In buona parte, pur con le immaginabili difficoltà finanziarie, sono in regola con il canone di affitto. Vorrei condividere con lei tre considerazioni.
La prima: mi ha davvero colpito la dichiarazione disperata dell’ultimo sfrattato che ho seguito, un anziano, che alla polizia ha detto: «Mi troverete morto ». Adesso vive in macchina, mentre la moglie sta all’ospedale. Ma una volta che la signora sarà dimessa, dove andranno? Bisogna provvedere e provvedere subito, perché i malati, i vecchi, i bambini non possono stare in strada. Finoral’impegno è stato quello di procrastinare parzialmente l’attuazione di ogni singolo sfratto, con evidenza però la soluzione sta nel rendere disponibili degli appartamenti. Certo ci vuole tempo, ci vogliono investimenti e progetti, ma bisognerebbe incominciare, rendendo disponibili gli appartamenti attualmente sfitti. La seconda considerazione: il sindaco, il prefetto hanno l’obbligo istituzionale e morale di intervenire. Una possibilità è data dai molti appartamenti disabitati e non utilizzati, sia pubblici sia privati. Che ci vuole a renderli disponibili per chi ne ha bisogno? Ovviamente a prezzi adeguati alle possibilità degli utenti. Nessuno vuole defraudare i proprietari di case, ma è pur vero che il diritto alla casa va affermato per tutti. La terza considerazione: sulla questione è necessario il coinvolgimento di tutti i cittadini di Sesto in maniera da suscitare una forte pressione morale nei confronti delle competenti Autorità, cui spetta il dovere di affrontare la gravissima situazione.
Ho un grande dolore nel cuore per il peggioramento della situazione nell’Ucraina. Nonostante gli sforzi diplomatici delle ultime settimane si stanno aprendo scenari sempre più allarmanti. Come me tanta gente, in tutto il mondo, sta provando angoscia e preoccupazione. Ancora una volta la pace di tutti è minacciata da interessi di parte. Vorrei appellarmi a quanti hanno responsabilità politiche, perché facciano un serio esame di coscienza davanti a Dio, che è Dio della pace e non della guerra; che è Padre di tutti, non solo di qualcuno, che ci vuole fratelli e non nemici. Prego tutte le parti coinvolte perché si astengano da ogni azione che provochi ancora più sofferenza alle popolazioni, destabilizzando la convivenza tra le nazioni e screditando il diritto internazionale.
E ora vorrei appellarmi a tutti, credenti e non credenti. Gesù ci ha insegnato che all’insensatezza diabolica della violenza si risponde con le armi di Dio, con la preghiera e il digiuno. Invito tutti a fare del prossimo 2 marzo, mercoledì delle ceneri, una Giornata di digiuno per la pace. Incoraggio in modo speciale i credenti perché in quel giorno si dedichino intensamente alla preghiera e al digiuno. La Regina della pace preservi il mondo dalla follia della guerra.
Il Decanto di Sesto San Giovanni invita la città ad un momento di riflessione e di preghiera per la pace sul Messaggio di Papa Francesco per la LV Giornata Mondiale della Pace, intitolato "Dialogo fra generazioni, educazione e lavoro: strumenti per edificare una pace duratura". Interverrà don Elio Cesari