25 APRILE – SAN MARCO EVANGELISTA
FESTA DELLA LIBERAZIONE
La ricorrenza del 25 Aprile di quest’anno arriva ad una settimana dalla festa di Pasqua, nella quale la chiesa fa riecheggiare il mistero della tomba vuota, l’annuncio della sconfitta della morte che è all’origine di ogni egoismo e malvagità. Per i cristiani la vita ha senso come memoria costante di questa liberazione. Per i cristiani l’esistenza è vivere nell’orizzonte della risurrezione: per questo ne facciamo memoria ogni volta che torna il giorno del sepolcro vuoto, la domenica, ed ogni volta che tornano i giorni in cui questi eventi sono accaduti, i giorni in cui Gesù si rese presente vivo in mezzo ai suoi discepoli dopo la sua morte. I giorni in cui i cristiani si riuniscono per la celebrazione della Pasqua annuale.
Gli Atti degli Apostoli raccontano che, alle autorità giudaiche che li avevano arrestati e cui avevano ingiunto di smettere di insegnare nel nome di Gesù, Pietro e gli altri apostoli rispondono: “Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini”, testimonianza di una “resistenza” e di una “disobbedienza” all’autorità costituita che mai potrà soverchiare l’autorità di Dio. Quanti hanno resistito negli anni bui del nazifascismo, credenti o meno nel Dio raccontato da Gesù di Nazaret, hanno attualizzato e tradotto quella solenne affermazione di Pietro che resta un monito anche per noi, oggi.
Ma quest’anno il 25 aprile cade nel pieno di un conflitto scoppiato nel cuore dell’Europa cristiana per il quale fatichiamo a scorgere una luce in fondo al tunnel. Il 25 aprile fu anche la sconfitta di un’Europa frantumata da concezioni stataliste e nazionaliste devastanti che produssero due guerre mondiali e le fecero perdere la centralità che aveva avuto per secoli. Ma – ci chiediamo - l’Europa che finora abbiamo cercato di costruire è capace di prendere coscienza di quella sconfitta o non rischia di perpetuare una concezione che non porterà da nessuna parte? Non si tratta di negare i limiti e le contraddizioni messe in mostra dall’Europa di oggi, ma di chiedersi cosa potremmo essere oggi se non ci fosse stata, e cosa potremmo essere domani se non ci fosse più, e allora pensare insieme come renderla migliore. Ed è per questo che ci sentiamo chiamati ad una preghiera, laica o cristiana, non importa, almeno per tre categorie di persone.
1. Per i responsabili di questo conflitto. Sentano il desiderio di riabilitare la propria immagine di fronte alla propria coscienza, al proprio popolo, alla storia tutta. La ricerca di una soluzione diplomatica, il superamento di ogni rigidezza ideologica, la fine delle operazioni belliche dimostrino la loro fede nel Dio capace di fare nuove tutte le cose. Certo, rimarrà a lungo la questione del chi si farà carico dei danni di guerra, delle morti innocenti, del chi risponderà e come di fronte al mondo intero. Ma almeno il primo passo sia fatto, affinché ne possano venire altri portatori di serenità.
2. Per le chiese variamente coinvolte in questo conflitto. Anzitutto le chiese ortodosse legate al patriarcato di Kiev e di Mosca, insieme alle chiese cattoliche di rito bizantino legate al Vescovo di Roma. Incoraggino e sostengano un processo di pacificazione animate da uno spirito missionario e dal desiderio di obbedire alla parola di Gesù: “da questo tutti riconosceranno che siete miei discepoli: dall’amore che avrete gli uni per gli altri”. Non nascondiamoci dietro ad un dito: le prese di posizione del Patriarca russo-ortodosso Kirill che di fatto giustificavano l’intervento armato russo a motivo della presunta perdita dell’identità cristiana dell’Ucraina per la pervasiva cultura occidentale, hanno generato gravi spaccature tra le chiese ortodosse e tra quella russa e quella cattolica. Spaccature e lacerazioni inquietanti che non possono non porre la questione del carattere nazionale delle chiese e del modo di interpretare autenticamente il senso di una sinodalità che dovrebbe essere patrimonio acquisito nel mondo ortodosso.
3. Per le popolazioni coinvolte nel conflitto. Anche queste popolazioni sono chiamate ad una resurrezione che passi attraverso un perdono, una riconciliazione, in assenza della quale non è difficile immaginare che carsicamente l’odio e il risentimento accumulati negli ultimi 100 anni torneranno ad emergere alla prima occasione. Parliamo di una riconciliazione che dovrà fare i conti con la verità e con l’ammissione delle colpe da parte dei responsabili di questo conflitto. Che dovrà passare attraverso l’ascolto pacato delle ragioni di parte russa e naturalmente la possibilità da parte ucraina di far valere il proprio punto di vista. Una riconciliazione che avrà bisogno di mediatori terzi, fantasiosi ed autorevoli.
Il Beato Teresio Olivelli, martire lombardo della barbarie nazi fascista, ci aiuti a raccontare e a ricordare i fatti del 25 aprile perché mai più degli uomini si trovino a dovere resistere con la forza ad una forza assurda e dispotica.
Don Roberto Davanzo