Sbarcare è un verbo multiuso, ma non solo per questo è in voga come non mai, quasi conteso, tra gli innumerevoli spunti di cronaca e la memoria lunga, anzi l’epopea del 'toccare terra'. È da mezzo secolo, tuttavia, che la terra ha perso l’esclusiva del suolo di approdo. Quanto se n’è detto e scritto in questi giorni di luglio: anche dell’uomo che ha messo piede sulla Luna si è parlato di sbarco. Certo, da una navicella che, invece del mare solcava lo spazio, ma che, allo stesso modo, era partita in cerca di un porto sicuro, sebbene non ancora esplorato e quindi del tutto ignoto.

Cinquanta anni dopo quell’enorme passo dell’umanità, è difficile non considerare l’interferenza che esso oggi provoca, anche in maniera inconsapevole, di fronte a una realtà che, sfidando anche la storia, parla un linguaggio tutto diverso. Sbarcare, oltre che un verbo, è diventato il grande interrogativo, anzi il miraggio, di un popolo dalle tante - troppe - bandiere tutte macchiate di soprusi, di tirannie e di guerre, che dal mare è costretto a cercare riparo su una terra nuova. Non si tratta evidentemente di esplorazioni: non cercano la Luna quei disperati che mettono in gioco anche la vita per dare sponda alle speranze.

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