Venezia sommersa dall’alta marea e Taranto soffocata dalle polveri. L’una abbandonata al proprio destino di sprofondo, l’altra lasciata sola per l’ennesima volta dal disimpegno imprenditorle. Venezia che muore e Taranto che si spegne rappresentano oggi, loro malgrado, le città simbolo della sofferenza, del contrasto fra uomo e natura e dell’apparente inguaribilità dai propri mali. Come se un ineluttabile fato ci spingesse verso il declino.

E portasse troppi di noi a metterlo definitivamente in conto, a darlo per scontato. Venezia, senza difese adeguate, al più tardi nel 2100 sarà sommersa; Taranto assai prima, con la fuga di Arcelor Mittal e senza più la grande manifattura, sarà una cittadina fantasma, depressa. Così, già nelle cronache di questi giorni, nel rincorrersi dei commenti a perdere di tanti politici, nei contrasti che subito si sono levati tra un gruppo e l’altro di cittadini, si intuisce come questa presunta ineluttabilità del declino abbia contagiato l’immagine che abbiamo di queste due città. E si instilli come gocce di veleno paralizzante nel sangue degli stessi abitanti che non nutrono più fiducia né in un aiuto esterno né nella propria capacità di cambiare le cose.

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