Questi giorni in cui l’essere più piccolo dell’Universo – un virus per l’appunto – domina il nostro pianeta in ogni angolo dello spazio e del tempo, offrono lo spunto per considerazioni di diverso genere. Tra il consueto propagarsi, anch’esso virale, delle fake news e la sparizione della fiducia nell’esperto, rimpiazzata dalle immancabili critiche e granitiche certezze che ognuno ha su quello che si sarebbe dovuto fare e non si è fatto e viceversa – che ricordano i discorsi da bar del lunedì mattina, se non fosse che ora al bar non ci va più nessuno – tra tutte ve n’è una che ha un che di nuovo, ancorché di antico.
Ora che il piccolo virus, ignaro o incurante di confini regolati da trattati, demarcati da limiti geografici e persino da muri, sprezzante di bellezze artistiche, realtà produttive, feste e tradizioni, rapporti sociali fa quello che un virus fa per sua natura, girare il mondo intero come il vento, ora che, a furia di invocarlo come obiettivo da parte di improvvida propaganda partitica, siamo finalmente primi in Europa, ci accorgiamo che vacillano certezze che fino a ieri sembravano incrollabili. Un dato di fatto così radicato che neppure ci ha mai sfiorato l’idea che non potesse essere che così: ci siamo noi e ci sono gli altri. L’altro è tutto ciò che non siamo noi. L’altro è chi viene da fuori.