Una lettera indirizzata all'Unione Europea, affinché l'Europa respinga individualismi ed egoismi nazionali e torni alla sua vocazione originaria, alla sua missione nel mondo: perseguire la solidarietà, condizione necessaria per la pace.
Cara Europa…
In queste settimane di isolamento forzato per il Covid-19, è sorta in ciascuno di noi, con più o meno prepotenza, una domanda: che ne sarà di te, cara Europa?
Siamo un gruppo di giovani italiani che non conoscono molto della tua origine, se non quello che abbiamo studiato sui libri di storia. Tuttavia, conosciamo bene gli effetti che il tuo esserci ha prodotto nelle nostre vite: la pace degli ultimi settant’anni, in primis, il benessere, la possibilità di viaggiare “senza confini” al tuo interno, … Insomma, siamo quelli che, forse inconsciamente, sanno di far parte di un progetto che travalica i confini delle singole nazioni.
Non averti visto nascere non ci impedisce però di averti a cuore. E noi, cara Europa, ti abbiamo a cuore. Teniamo a te, come teniamo a tutte le singole persone che di te fanno parte, che lo vogliano o no. Teniamo a te come teniamo a tutte le persone – siano esse svedesi, olandesi, spagnoli, … – che ora stanno lottando contro questo virus, che ci ha provato molto al punto da mettere k.o. qualcuno di noi, privandoci dei nostri cari, dei nostri amici, dei nostri medici, infermieri, volontari…
Forse è la prima volta che te lo diciamo, forse è la prima volta che lo pensiamo, ma il nostro sentire si è fatto sempre più chiaro man mano che passavano questi giorni e vedevamo la fatica che stai facendo anche tu: MES, Coronabond, Sure, e tutto quello che si può aggiungere sul fronte degli aiuti economici, accompagnato anche dalla scelta di alcuni tuoi Stati di chiudere i loro confini, dimostrano ancora una volta che sulla tanto acclamata solidarietà prevale troppo spesso il bisogno di ogni Stato membro di perseguire il proprio interesse. E questo, cara Europa, non è nient’altro che il riflesso di come noi singoli cittadini chiudiamo, ormai con troppa frequenza, le porte delle nostre case, dei nostri uffici e delle nostre aziende.
E allora veniamo al cuore della nostra lettera: vuoi chiuderti sempre più, cara Europa? E cosa pensi di ottenere in questo modo? Non credi che serrare i battenti potrà portare solo a un tuo ulteriore indebolimento? Non pensi che sia venuto il momento di correggere quegli errori che tutti commettiamo e abbiamo commesso – tu compresa – lungo il cammino?
Noi ti scriviamo, cara Europa, perché il desiderio che abbiamo per te è quello di non morire. Vorremmo anzi che tu provassi a risorgere da queste macerie, che non sono materiali come alla fine della seconda guerra mondiale, ma morali.
Noi ti scriviamo cara Europa, perché vorremmo che questa crisi fosse per te un’altra chance: quella decisiva.
Noi ti scriviamo perché abbiamo ancora la forza di credere negli ideali, e vorremmo impegnarci seriamente per realizzarli, insieme. Vorremmo ripartire da quell’ideale che aveva mosso i Paesi ad unirsi, costituendo l’Unione Europea.
Era il 1950 circa, appena dopo il disastro provocato dalla II Guerra Mondiale: morti, nazismo, crisi economica, fame. A. De Gasperi, R. Schuman e K. Adenauer credevano in un ideale: ciò che è concepito dallo spirito e dall’intelletto come bello e perfetto, oggetto quindi delle più alte aspirazioni, a cui ci si propone di avvicinare la realtà esistente, attraverso il proprio impegno.
E ciò che era oggetto, allora, delle più alte aspirazioni era proprio la pace, perché secondo i padri fondatori dell’Unione Europea era l’unico modo per poter superare le rivalità persistenti tra alcune potenze, come la Francia e la Germania.
Leggendo il preambolo del Trattato costitutivo della CECA, ci siamo accorti di ciò che realmente stava a cuore ai padri fondatori, espresso in semplici e concrete parole: “Coscienti che l’Europa non si potrà costruire altro che mediante concrete realizzazioni che creino innanzitutto una solidarietà di fatto, e mediante l’instaurazione di basi comuni di sviluppo economico”.
E in modo ancora più chiaro, Alcide De Gasperi, a sostegno del suo ideale di Europa aveva insistito sull’opportunità di un “retaggio europeo comune, di quella morale unitaria che esalta la figura e la responsabilità della persona umana col suo fermento di fraternità”.
La questione da porre come sigillo nella mente e nel cuore di tutti gli europei, ci pare allora solo una: per il solo fatto di vivere, di essere uomini e donne, abbiamo una responsabilità verso l’altro.
Cara Europa, te lo diciamo col cuore (sede di affetti, sentimenti, luogo del pensiero e delle scelte): vorremmo che l’ideale più grande da perseguire in questo momento abbia un solo nome: solidarietà. È la solidarietà che rende possibile la pace. Ne abbiamo vista tanta nel nostro Paese e anche in tanti altri. Abbiamo visto qualche cosa che ha persino attraversato i confini nazionali ma, senza nulla togliere all’importanza anche di un solo piccolo gesto, siamo persuasi che tu possa fare meglio!
Dalla CECA del 1951, al Trattato di Maastricht del 1992, al Trattato di Lisbona del 2007 non si è mai venuti meno all’affermazione del principio di solidarietà. Ma oggi, nel 2020, in quali scelte ovvero strategie possiamo scorgere l’applicazione della solidarietà? Non eri tu Europa che negli anni ’70 hai creato la Cooperazione Politica Europea per mostrare al mondo che avevi una missione politica affatto diversa da quella USA e URSS? Non volevi gridare al mondo che per essere una potenza civile non erano necessari particolari strumenti militari minacciosi, ma pacifici, positivi e persuasivi?
Portandoci verso la conclusione, cara Europa, ci sembrano appropriate le parole di Gianrico Carofiglio, tratte dal libro “Né qui né altrove, una notte a Bari”: “Dove guardavamo? […] Non lo sapevo dove guardavamo, noi. Non lo sapevo – e non lo so […] e se guardano da qualche parte o sono soddisfatti di guardare solo nei paraggi del loro naso. Dove peraltro – intendo in generale, nei paraggi dei nasi – è difficilissimo vedere cose”.
Cara Europa, ecco la questione essenziale: dopo la tragedia che ci sta investendo, che italiani vogliamo essere? Che europei vogliamo essere? Dove vogliamo orientare il nostro sguardo? Quali confini vogliamo dare al nostro cuore e alla nostra azione?
Quando parleremo ad una sola voce sul tema dell’immigrazione e della politica estera? Quando gli Stati membri decideranno di privilegiare l’interesse europeo comune rispetto al proprio interesse nazionale in campo economico, finanziario e socio-culturale? Queste sono solo alcune tra le questioni che possono diventare il punto di partenza per costruire insieme una Europa più solidale.
Quello che ti chiediamo, cara Europa, è allora “un grande gesto di solidarietà europea” (card. J-C. Hollerich). Non un gesto singolo, ma un gesto che pervada ogni singola azione che da qui in poi si vorrà mettere in campo. Ci sembra che questa sia la tua strada, la tua vocazione, la tua missione nel mondo, e non invece il ritorno a individualismi nazionali.
Cara Europa, ti auguriamo che nel futuro sui libri di storia potrà trovarsi scritta questa frase: “Ciò che ha fatto grande l’Europa negli anni difficili della sua adolescenza, ha un solo nome: solidarietà”.
Noi vogliamo esserci, oggi, per realizzare questo ideale. Tu, per favore, ascoltaci, cara Europa!