Sabato Santo, 11 Aprile, i fedeli della Diocesi di Milano, stando riuniti in casa con i propri familiari, si sono uniti in preghiera con l’Arcivescovo, monsignor Mario Delpini, che dal Duomo, ha presieduto la solenne celebrazione della "Veglia di Pasqua"

Di seguito pubblichiamo l'omelia di Mons Delpini

 

La fede del popolo, messaggio per tutta la terra

  1. Povera, fragile fede.

Perché la nostra fede è così fragile? Perché l’imprevisto diventa una obiezione sconcertante per la nostra fede? Perché la tragedia che irrompe nella vita di una persona, di una famiglia mette in crisi la fede di chi nel suo credo professa la risurrezione?

Perché professarsi cristiani, popolo che crede in Cristo, è diventato così imbarazzante nei rapporti quotidiani? Perché sembra una forma di saggezza professare di avere domande invece che di avere certezze? Perché si considera più motivata la cautela piuttosto che il coraggio, l’inquietudine piuttosto che la pace, la disperazione piuttosto che la speranza? Perché, se proprio si deve credere a qualche cosa, sembra più sensato credere alla morte che alla vita?

Perché sembra che tutto sia più interessante della verità più essenziale? Perché ogni particolare di cronaca, ogni stranezza di personaggi famosi, ogni battuta di politici, ogni indice economico merita più attenzione della questione decisiva: che senso ha la nostra vita?

Perché l’evento di quel primo giorno della settimana è più uno spavento che un alleluia?

  1. L’insostenibile solitudine dell’ “io”.

Se sei solo, se sei sola, non basti per dire la verità. Se sei solo, se sei sola, non hai abbastanza forza né sapienza né voce né argomenti né gioia per andare fino al cuore del mistero. La fragilità della fede contemporanea è dovuta alla solitudine. Questo “io” così arrogante si impone come principio del bene e del male, ma adesso è stanco: deve ogni volta creare di nuovo il mondo e dare nome a ciò che crea. Questo “io” così narciso continua a compiacersi di sé, delle sue certezze e dei suoi tormenti, ma adesso è depresso: non si piace più tanto come una volta.

Questo “io” libero si esalta di non essere legato a niente e a nessuno e perciò di poter pensare tutto e anche il contrario, di poter provare tutto e non dipendere da niente, ma adesso è spaventato: la sua libertà è come una prigione di solitudine.

  1. Perciò celebriamo la veglia pasquale.

La veglia di Pasqua è convocazione per sostenere la fede, per dare fondamento al credere e alla speranza, perciò alla gioia di Pasqua.

La veglia convoca l’universo, interpreta il mondo come una creazione, come un desiderio di Dio di dare casa all’uomo e alla donna, suggerisce che tutto ciò che esiste possa rivelare un significato, una intenzione, una accoglienza per l’amore che unisce è vivo e dà vita. Sarà destinato a finire l’amore? sarà destinato a fallire l’intenzione di Dio?

La veglia convoca la storia dei padri, interpreta la storia come il racconto di una alleanza che raduna il popolo amato da Dio, che lo chiama a libertà, che dà buone ragioni per attraversare il deserto per la promessa di una terra benedetta. Dio si impegna per una alleanza eterna. La promessa di Dio non torna a lui senza effetto, senza aver compiuto ciò per cui è stata mandata. Basterà l’infedeltà del popolo a spezzare l’alleanza voluta da Dio? La veglia fa memoria dello spavento che è diventato missione, che è diventato principio di convocazione: Voi non abbiate paura …presto, andate a dire ai suoi discepoli: è risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea. E così comincia la Chiesa, come popolo in cammino nella storia “per suscitare l’obbedienza della fede in tutte le genti, a gloria del suo nome …

La veglia di Pasqua, così povera quest’anno, si celebra anche quest’anno per dare alla fede cristiana il fondamento: Gesù è risorto, un popolo nuovo è convocato, la missione è cominciata.

Possiamo vivere la fede perché siamo popolo che ascolta, che obbedisce alla parola ascoltata, che celebra la presenza di Gesù risorto

  1. Fede di popolo.

In questa veglia senza battesimi comprendiamo meglio il nostro battesimo: l’evento più personale, il momento originario in cui siamo stati chiamati per nome, è il più comunitario. Siamo chiamati per nome perché apparteniamo a una comunità. La nostra fede in Gesù è fede condivisa: più che la persuasione tormentata dai dubbi di un “io” inquieto è l’appartenenza desiderata al popolo in cammino verso la terra promessa. In questa veglia senza abbracci e scambi di pace comprendiamo meglio le nostre relazioni: senza la convocazione siamo persi, isolati, sterili. La nostra fede è fede che edifica rapporti: più che la gelosa libertà di un “io” cauto nei legami e allergico ai vincoli definitivi è la decisione di servire per vivere la vita dei figli di Dio, la vita di Gesù.

In questa veglia che esclude troppi commensali dalla comunione sacramentale comprendiamo meglio la nostra fame: senza lo spezzare del pane non si aprono i nostri occhi a riconoscere la presenza di Gesù. La nostra fede genera una gioia condivisa: più che la presunzione di un “io” che si procura quello che gli serve, è necessario sedere a mensa e condividere quel pane che fa dei molti un solo corpo e un solo spirito.

Viviamo questa Pasqua come una invocazione: vieni, Signore Gesù, vieni e raduna il tuo popolo disperso! La nostra fede è fede di popolo, è iscritta nella storia del popolo di Dio, è ambientata nel mondo creato da Dio per ospitare l’amore.

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