Con la presente serie di articoli: «Democrazia come processo inclusivo», intendiamo analizzare le trasformazioni della democrazia, che comprendono anche, ma non solo, la frontiera tecnologica della cosiddetta e-democracyo “democrazia digitale”, e favorire il rafforzamento della sua dimensione elettorale e il grado d’inclusione. Una democrazia incapace di contribuire al processo d’inclusione non potrà che essere percepita dagli esclusi come la democrazia degli altri, qualcosa che, non riguardandoli direttamente, non li responsabilizza, con la relativa incuria delle istituzioni e casi di “emigrazione psicologica”, per usare una significativa espressione di Giovanni Paolo II nella Sollicitudo rei socialis (1987)

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Il cardinale Pedro Barreto, vice-presidente di Repam: «L’Amazzonia non è solo un luogo geografico, è lo specchio del mondo»
Ama i neologismi. E spesso li conia lui stesso. Come “diocidenza”: i fatti non si susseguono a casaccio, quali mere coincidenze, in essi si nasconde un progetto di Dio. È stata una “diocidenza”, ad esempio, a mettere sul cammino dell’allora 15enne Pedro Barreto – nato e cresciuto nel centro di Lima – due indigeni Awajun. «Attraverso quell’incontro ho scoperto la mia vocazione e ho deciso di entrare nella Compagnia di Gesù», racconta l’attuale arcivescovo di Huancayo e vice- presidente della Rete ecclesiale panamazzonica (Repam). «Gli indios mi hanno evangelizzato. Mi hanno, cioè, fatto scoprire il vero significato del Vangelo. Proprio perché l’ho sperimentato so che non è facile accettare che gli indigeni abbiano qualcosa da insegnarci. È necessario convertire la propria mentalità per “amazzonizzarsi” ». Quest’ultimo è uno dei neologismi più usati dal cardinale Barreto, per cui l’attuale processo sinodale è una chiamata ad «amazzonizzare la Chiesa», nonché a «laudatosificare la società».

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Sociologi, demografi, economisti, giornalisti concordano: viviamo in un’epoca metropolitana, che nell’arco di pochi decenni (due, al massimo tre) vedrà il settanta per cento della popolazione mondiale vivere nei grandi centri urbani, i luoghi ideali di aggregazione di quella che il sociologo Richard Florida ha brillantemente definito la «classe creativa », quella che include le persone specializzate nella nuova economia digitale, appassionate di innovazione, ansiose di elaborare tecnologie sempre più avveniristiche e avanzate e sempre meno interessate alle forme tradizionali di aggregazione sociale (la famiglia e le parentele, le chiese, le scuole, i partiti).

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Furono costretti a salire, uno a uno, sui camion militari. Portati in una zona impervia e solitaria perché la popolazione doveva sapere – e temere – ma era meglio che non vedesse con i propri occhi tutto quel sangue e quelle urla, chissà come poteva reagire. Duecentonovantasette monaci e centoventinove diaconi, uccisi a colpi di mitragliatrice e di fucile.

Gli storici faranno fatica a trovare nella storia moderna una strage di religiosi cristiani paragonabile, per numeri e modalità, a quella che si consumò nei pressi del monastero copto-ortodosso di Debre Libanos, in Etiopia nel maggio del 1937; forse mai negli ultimi secoli così tanti monaci e diaconi (426) furono giustiziati tutti insieme, nello spazio di poche ore, senza alcuna pietà. Senza contare le vittime "civili", ovvero pellegrini e fedeli comuni che in quei giorni gravitavano attorno al monastero e anch’essi passati per le armi, un numero ancora imprecisato, secondo alcune fonti circa un migliaio.

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«Alla Turchia, spiegano gli esperti di Rete Disarmo, abbiamo venduto negli ultimi 4 anni 890 milioni di euro in armamenti. Nel 2018 sono state concesse 70 licenze di esportazione definitiva. Tra i materiali autorizzati: armi o sistemi d’ arma di calibro superiore ai 19.7 millimetri, munizioni, bombe, siluri, razzi, missili e accessori oltre ad apparecchiature per la direzione del tiro, aeromobili e software. La guerra è pura follia, disse già san Giovanni XXIII nella Pacem in terris», ricorda in questo intervento don Renato Sacco.

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