Il viaggio del Papa in Mozambico, Madagascar e Mauritius è ormai concluso e di questi giorni intensi e straordinari rimangono innanzitutto impressi nella mente i volti pieni di gioia dei bambini, delle donne e degli uomini che hanno accompagnato Francesco lungo strade ora fangose ora polverose di Maputo e Antananarivo, e che hanno animato — nel vero senso della parola — le stupende liturgie celebrate nei tre Paesi. La gioia che hanno saputo esprimere, nonostante le difficoltà e le condizioni precarie in cui molti di loro sono costretti a vivere, ha qualcosa da insegnare a tutti noi. Ci insegna che nel calcolare il benessere di un popolo non sono sufficienti i parametri legati al solo dato economico: la fede vissuta, l’amicizia, la capacità di relazione, i legami familiari, la solidarietà, la capacità di godere delle piccole cose, la disponibilità a donarsi, non potranno mai entrare nelle statistiche.

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Nella mattina di mercoledì 11 settembre, alle 8.30, si è svolto a Casa Santa Marta il primo incontro del Comitato Superiore per raggiungere gli obiettivi contenuti nel Documento sulla Fratellanza Umana per la pace mondiale e la convivenza comune, costituito nell’agosto scorso.

Lo rende noto un comunicato della Sala stampa della Santa Sede, sottolineando che la significativa data è stata scelta come segno della volontà di costruire vita e fratellanza dove altri hanno seminato morte e distruzione.

Il Comitato è composto da 7 membri e la Santa Sede vi è rappresentata dal vescovo Miguel Ángel Ayuso Guixot, presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, e da monsignor Yoannis Lahzi Gaid, Segretario particolare del Santo Padre. L’Università Al-Azhar vi partecipa con il suo responsabile, il professor Mohamed Husin Abdelaziz Hassan, e Mohamed Mahmoud Abdel Salam, giudice ed ex Consigliere del Grande imam di Al Azhar, Al-Tayyib. Gli Emirati Arabi Uniti sono rappresentati da Sua Eccellenza Mohamed Khalifa Al Mubarak, Chairman of Abu Dhabi Culture, Yasser Saeed Abdulla Hareb Almuhairi, scrittore e giornalista, e da Sultan Faisal Al Khalifa Alremeithi, Segretario generale dei Muslim Elders.

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C’è Ousmaina, il volto incorniciato dal velo e le dita affusolate che stringono La luna e i falò di Cesare Pavese. Lo legge – col suo accento italo-arabo – , nella casa di riposo di Nizza Monferrato e intanto si domanda delle vigne, dell’America, della Liberazione. Cose che non conosce e che a lei, marocchina di origine, a sua volta vengono raccontate dagli ottantenni che ha davanti, durante le pause. Nelle Langhe sono cinque le “Lettrici itineranti”, tre sono arabe: il progetto voluto dal Comune, e realizzato non solo per gli anziani ma anche per i bambini dell’asilo, ha l’obiettivo di mettere insieme mondi lontani, superando paure e pregiudizi. Così, nel cuore multietnico della provincia piemontese, si prova (e si riesce) a fare intercultura. Vallo a spiegare a Palazzo – dove la retorica politica di volta in volta attenta o contraria alla diversità si riempie la bocca di “teorie” e di “indirizzi” – che la scuola italiana ogni giorno raccoglie la sfida di 850mila studenti stranieri in carne e ossa nelle sue classi. Da trent’anni, su questa frontiera, si muove appassionato Vinicio Ongini, prima maestro, poi esperto presso la Direzione generale per lo studente del Miur, anima e braccio dell’Osservatorio nazionale per l’integrazione e l’educazione interculturale, in particolare del Gruppo di lavoro sulle scuole nelle periferie urbane interculturali. Alle stampe ha appena consegnato l’ultimo dei suoi viaggi nel Paese reale – quello dei progetti che funzionano e degli insegnanti ancora capaci di sognare – intitolato La grammatica dell’integrazione (Laterza, pagine 161, euro 16).

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È da oggi in libreria Frontiera Amazzonia. Viaggio nel cuore della terra ferita, il volume (Emi, pagine 176, 15 euro) scritto dalle giornaliste di Avvenire, Lucia Capuzzi e Stefania Falasca. Un attento e importante reportage, tanto più significativo perché viene pubblicato nell’immediata vigilia del Sinodo dedicato a questo polmone del pianeta. La prefazione, di cui pubblichiamo ampi stralci, è del cardinale Claudio Hummes presidente della Rete ecclesiale panamazzonica e relatore generale al Sinodo sull’Amazzonia.

«L’Amazzonia è una donna. Una donna stuprata. Ha negli occhi il colore della notte e i capelli lisci come gli strapiombi delle Ande. A Madre de Dios era scesa guardandoci senza dire una parola. Un urlo di silenzio. Volevamo incontrarla, poterla guardare negli occhi. E siamo andate. E siamo entrate in quegli occhi. Queste pagine ne sono la voce. Perché l’Amazzonia è vicina. È fuori e dentro la vita di tutti».
Stefania Falasca, Lucia Capuzzi

Oggi è evidente che la crisi socio-ambientale dell’Amazzonia riveste un’importanza planetaria. Qui è in gioco il futuro del pianeta e dell’umanità. Senza l’Amazzonia resterà poca o nessuna speranza di vita al mondo. In questi ultimi decenni il pianeta è entrato in una grave situazione di crisi climatica ed ecologica. È necessario pertanto un grande impegno per superare la crisi: agire è urgente.

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Quattro linee, coi conseguenti nodi, si sono alternate e intrecciate, quasi come 'convergenze parallele', in questo trentunesimo viaggio internazionale di papa Francesco, che torna oggi a Roma dopo giorni intensi divisi tra Mozambico, Madagascar e Mauritius. La linea degli appelli ai governanti, affinché promuovano il vero sviluppo dei loro popoli, combattendo fenomeni endemici come la povertà e la corruzione o nuovi rischi come la deforestazione che deturpa la «casa comune» e ipoteca fortemente l’avvenire dell’intero pianeta.

La linea dell’incoraggiamento ai giovani, perché non si arrendano al 'non c’è niente da fare' e in dialogo costruttivo con le altre generazioni prendano in mano il loro futuro, che per molti aspetti è già presente. La linea, potremmo dire profetica, di Chiese per le quali, come ha detto espressamente il Pontefice, il primo compito è quello di annunciare il Vangelo ai poveri e con i poveri (gli esempi del resto non mancano e Francesco non ha mancato di sottolinearli).

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